L’arte di catturare i pesci ha inizio con la storia,anzi con la preistoria. Le popolazioni del neolitico,per far fronte all’aumentata richiesta di cibo, svilupparono tecniche e strategie per catturare gli animali oltre a imparare il modo per addomesticarli.
Quando i fiumi andavano in secca,gli uomini vedevano che il pesce si radunava nelle pozze d’ acqua più profonde. Così cominciarono a creare delle secche artificiali,chiudendo tratti di fiume e pescando poi il pesce con le mani ed in seguito con specie di fiocine.
La tecnica di pesca si affinò con l’ideazione e costruzione di reti che all’inizio erano rami ammucchiati che facevano da barriera al passaggio dei pesci. In seguito si predisposero rami intrecciati,reti fatte con scorza d’albero ed infine si utilizzarono fibre vegetali. Le reti potevano essere costruite col vimini,corda,nylon intrecciati,essere a maglia stretta o a maglia larga,corte o lunghe chilometri,mobili o fisse,posizionate in acque aperte o vicino a riva,a grandi profondità o vicine al pelo dell’acqua.
Altre culture scelsero di utilizzare per la pesca gli strumenti della caccia a terra come frecce scagliate dall’arco,balestre,cerbottane o lance con punte come lo testimoniano le popolazioni che ancora oggi vivono come i primitivi.
Più ricercata e ingegnosa fu l’invenzione della pesca con l’amo cioè una specie di uncino appuntito legato ad un filo ed immerso nell’acqua. I pescatori lo mettevano nei posti di maggior stazionamento dei pesci e occultandolo con una esca diventava così un ottimo sistema di cattura. Prima dell’avvento del filo di nylon ,l’uomo ha provato ad utilizzare una corda sottile,poi fili vegetali ma tutti erano poco resistenti. Qualcuno ha provato anche con i crini del cavallo intrecciandoli sfalsati per ottenere lunghezze notevoli e fili resistenti e flessibili. Un tempo la canne prima di essere di plastica e di altri materiali moderni venivano fatte con la canne di bambù che crescevano in giardini esclusivi e in quelle dei pescatori che le raccoglievano e poi le mettevano a seccare all’ombra con il colmo rivolto verso il basso in modo che diventassero dritte ed elastiche e di un bel colore dorato. Quindi fissavano il filo a circa un terzo dalla cima con un nodo scorsoio e lo avvolgevano a spirale fino in punta dove un altro nodo faceva iniziare la lenza vera e propria che veniva dotata di un tappo di sughero ,fermato da un fiammifero spento ,da un piombino e da un amo. La canna,la SDARINA, era così pronta per chi voleva cimentarsi nel mondo della pesca. La pesca con la canna ,da riva o da battello era eseguita in modo diverso per insidiare i vari tipi di pesce e quindi variava il tipo e la dimensione delle canne,del filo,.degli ami dei galleggianti,delle esche e del modo di lanciarle. E qui entrava in gioco “ l’arte” del pescatore.
I pescatori dei nostri laghi e della valle del Mincio preferivano la pesca col palamito. È un attrezzo da pesca diffuso in tutte le parti del mondo con qualche variante. E’ costituito da un cavo trasversale sospeso alle estremità a dei galleggianti e può essere trattenuto alla profondità desiderata con dei pesi: dal cavo pendono numerose lenze con un amo all’estremità .Era destinato alla pesca di pesci da fondo; si calava alla sera e si recuperava all’alba .Recuperare un palamito (caves in dialetto)non era semplice perché le lenze si ingarbugliavano ,ma a fronte della pazienza c’erano anguille,pesci gatto,tinche. Un parente povero del palamito era il tranvaino cioè un lungo filo appesantito da un piombo e recante due o tre ami .Veniva lanciato da riva e fissato a terra su un bastoncino alto due spanne (30-40 cm) in cima al quale si fa un’intaccatura ;per segnalare la mangiata del pesce si metteva una pallina di polenta a far da contrappeso. Al minimo sobbalzo il pescatore appoggia i polpastrelli al filo e i più bravi capivano subito se e che tipo di pesce aveva abboccato. Oppure i pescatori utilizzavano la dirlindana ,un attrezzo per la pesca a traino:costituito da un lungo filo di rame,trattenuto con la mano libera dal remo e recante all’estremità un richiamo mobile e lucente destinato alla cattura dei predatori.
La rete a sacco nasce come rete marina a strascico :due grandi ali collegate alle barche da traino ,sostenute da galleggianti nella parte alta e piombata in quella bassa per tenerle ben tese ,con a volte in fondo davanti all’imboccatura ,una lama di ferro per smuovere il fondo. Il tutto termina con un sacco circolare in cui si raccoglieva il pesce. Si trattava in genere di reti a maglia fitta piuttosto pesanti che venivano usate soprattutto nei fiumi e nelle lanche. Sul lago invece si usava tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera legando più reti assieme e battendo con dei puntali sul fondo per smuovere i pesci intorpiditi dalla stagione fredda e sprofondati nel fango. La rete a strascico poteva diventare rete da circuitazione : i lembi venivano avvicinati e chiusi e così iniziava la cattura.
Della rete da posta abbiamo testimonianza in uno dei medaglioni affrescati della sala dei Venti o dello Zodiaco a Palazzo Te:due squadre di pescatori trascinano una rete che chiude perfettamente un canale. Ai bordi della rete ,in prossimità dei galleggianti ,si intuisce il guizzare dei pesci intrappolati. Oggi questo tipo di pesca non si può più fare,perché è proibito,ma soprattutto perché non ce ne sono più le condizioni:acque pulite e abbondanza di pesce.
Il Fiocine specifiche per anguille era composto da un sandwhic di tre reti (due esterne a maglie larghe e una centrale a piccole maglie) che consentiva di catturare grossi capi che restano imprigionati in sacche della rete .Un tramaglio molto lungo(200 metri) e fortemente piombato veniva usato lasciandolo andare in corrente per la cattura degli storioni nel fiume Po.
La streggera era una rete lunga 40-50 metri da utilizzare nelle lanche per catturare pesci di piccola taglia da impiegare come esche per le nasse.
L’olandina serviva per catturare prede più modeste che restano infilate con la testa nella rete.
La cheppa era una rete usata solo durante il passaggio stagionale delle cheppie,mentre la reda moia (rete bagnata) era tenuta in corrente mediante due cordini.
La bilancia è un quadrato di rete a maglie più o meno piccole tenuto in tensione da due legni flessibili piegati ad arco(poi sostituiti da quattro aste di metallo scorrevoli legate due a due ).Lo strumento viene legato in cima ad un palo di salice o bambù fissato in prua alla barca .Quando si arrivava nella zona che si credeva fruttuosa, si iniziava a setacciare l’acqua cioè il palo e la rete andavano su e giù sperando di fare una buona cattura. Il bilancione invece è sorretto da pali fissi e si salpa la rete grazie ad una carrucola .Su alcuni canali del mantovano si trovavano, e in rari esemplari si trovano ancora, reti fisse di parecchi metri di lato mosse da argani a mano o a motore. Il bilancino era piccolo e veniva usato a mano e serviva per catturare piccoli pesci da usare come richiami vivi o per arricchire un povero pasto.
Per i pescatori di un tempo il cucchiaio non era solo una posata ma diventava un buon attrezzo da pesca. Con il manico si realizzava un’esca ondulante come un pesciolino:fissato con un filo di rame ed un girello alla lenza ,con due grossi ami ad ancoretta decorati con un ciuffetto di lana a tinte vivaci ,fissati a metà ed all’estemo libero,diventava un richiamo strepitoso per i grandi predatori. La paletta,ovale e concava,ruotava su se stessa se montata su un asse diritto ;quindi si passava alla piegatura,alla foratura,all’inserimento di adeguato ferro,di girelle anti arrotolamento,di ami ed ancoretta: un ‘arma strepitosa frutto di inventiva ,ingegno e grande manualità.
La pesca con le fiocine ,oltre alla pesca con le mani ,è la più antica attività di pesca. Gli uomini fin dalla preistoria utilizzavano lunghi bastoni appuntiti poi sostituiti con lance con punte di osso,selce scheggiata e poi di metallo. Nelle nostre acque questo tipo di pesca era utilizzato per la cattura di grandi esemplari di lucci,carpe,tinche….Per effettuare la pesca con la fiocina serviva una grande abilità nell’osservare il fondo,nel misurare l’angolo di rifrazione e la profondità dell’acqua e nello scagliare con precisione il palo. Questo tipo di cattura è da sempre vietato.
La guada ha un lato diritto ed uno semicircolare con un manico di salice ,che poteva essere un pezzo di remo o un puntale rotto,ed un sacco di rete più o meno fitta e più o meno capace .I pescatori a passavano sul fondo coperto di vegetazione e,recuperandola,la trovavano colma di gamberetti e di cobiti che venivano utilizzati come esca viva oppure fritti come piacevole e gustoso alimento. Saltarei e faraguadole abbondanti erano indicatori di acque pure. Oggi sono rarissimi.
I bertavelli erano trappole costruite con vimini (rami di salice spellati) intrecciati a formare una sacca con una bocca coronata cioè un imbuto che si dilatava sul fondo sotto la presione dei pesci che spingevano per entrare a cercare cibo,piccoli pesci che venivano immessi grazie ad uno sportello ricavato nel corpo del bertovello dal quale si prelevavano poi le prede che non potevano uscire da dove erano entrate a causa dei vimini acuminati perché tagliati di sbieco. Queste trappole artigianali avevano una parte piatta che appoggiava sul fondo dove venivano calate in numero di 4-500,da una barca,in lunghe file tenute da una corda zavorrata sia all’inizio che alla fine. Ovviamente dovevano essere calate dove la corrente non era forte.Il recupero veniva eseguito tre giorni dopo con l’ausilio di raffi e ganci che intercettavano la corda sommersa ,sempre che qualche disonesto si fosse appropriato del magro guadagno del pescatore. Oggi si costruiscono con reti di fibra vegetale.
Le nasse erano anche loro trappole passive costruite esclusivamente con filo di ferro ed in seguito con tecnica mista (filo di ferro,rete metallica per la struttura e filo di nylon per l’inganno).Venivano calate singolarmente e per esca venivano inseriti 5-6 strec (lasche).
Le arzanine erano filaccioni cui venivano legati anche mille ami con relativa esca. Venivano stese nel fiume e ogni 20 ami recavano un peso onde evitare che le anguille ,oggetto di questa pesca ,potessero attorcigliare le lenze.
La pesca oggi come allora è una attività che richiede forza,fatica,tempo,pazienza,passione e una buona conoscenza delle varie specie ittiche,della loro distribuzione e dei loro ecosistemi.
Un grande ringraziamento agli operatori del Museo Etnografico dei mestieri del fiume di Rivalta sul Mincio e del Museo del Po di Revere per il prezioso materiale informativo messo a disposizione.